Quando si ha paura di perdere un amore. . . o si teme di averlo già perso.

novembre 29, 2008
xvhsapca283bcgca1cpb3mcatfmsu7cajtvamtca0dbnt1cau05mbtca2g695gcalfcbfdca8w88gkca34grcncamltpe1ca3vo0uycaayth1acagnoi46cab220zpcaqly09vcavm32ltca7pl7k2La sofferenza, che si prova quando si è abbandonati dalla persona che ci stà tanto a cuore, è così forte da farci sentire improvvisamente soli, dimenticati ed ormai incapaci di trovare riferimenti od appligli per superare l’attuale sconforto. Vivendo nell’ attuale società ormai mossa da scarsi sentimentalismi e da uno smodato egoismo dovremmo evitare di essere vittime di tali depressioni ed angosce, ormai l’essere umano è sollecitato a vivere scelte che tengono conto solo delle necessità materiali e quindi si vive in un continuo scadimento di ogni forma di carineria sentimentale, così ,anche inconsapevolmente, viene avvantaggiata ogni forma di trascuratezza ed ogni indole più o meno acuta di egoismo. Tutto quanto si è conquistato nel tempo nell’ambito dei sentimenti, diviene abitudine e quindi non è più alimentato da quelle particolari e necessarie attenzioni da far scadere l’interesse emotivo ed affettivo al punto da relegarci

in una atmosfera di triste indifferenza.

La poesia di un amico blogger fà riflettere al riguardo, ma può anche suggerici la riflessione che per essere destinatari di considerazione, bisogna prima essere disponibili a considerare chi ci stà a cuore, anche in presenza di oggettive nuove difficoltà.

 

Nella Nebbia (by Nemo).

 

 

 

Strano, vagare nella nebbia!

E’ solo ogni cespuglio ed ogni pietra,

né gli alberi si scorgono fra loro,

ognuno è solo.

Pieno di amici mi appariva il mondo

quando era la mia vita ancora chiara.

adesso che la nebbia cala

non vedo più alcuno.

Saggio non è nessuno,

che non conosca il buio,

che lieve ed implacabile,

lo separa da tutti.

Strano, vagare nella nebbia!

Vivere è solitudine.

Nessun essere conosce l’altro,

ognuno è solo.

 

Bella poesia, lucida ma triste osservazione di una condizione a volte comune a molti di noi, che, generosi e ingenuamente speranzosi, sono convinti di ricevere quelle attenzioni di cui si ha necessità. Uno stato d’animo tradito dalla nebbia, dall’avvento di una certa indifferenza che offende la nobiltà e la solarità dei propri sentimenti impegnati nel rapporto sentimentale. Così ci si sente soli, abbandonati, trascurati, traditi al punto tale da essere assaliti da sconforto e malessere. Quando ci si trova in simili situazioni si è maggiormente delusi dal cedimento dei sentimenti e delle attenzioni che noi credevamo incondizionatamente solidi, tenaci ed immutabili nel tempo e nelle varie condizioni che la vita ci pone nella mutevolezza delle circostanze dell’ esistenza. Tutto ciò intacca ogni razionalità e sicurezza e spesso il nostro “io” è reso così sensibile dall’insorta indifferenza non tanto per la sopravvenuta carenza di considerazione, ma per l’esageratta importanza che si attribuiva a quella felice situazione. Per riprendere le fila della vita sentimentale urge capire le proprie priorità, abbandonare appena si può l’ansia da abbandono e riprendere a vivere secondo la propria sensibilità, ma tenendo ben conto che per essere considerati dobbiamo anche noi essere certi di non tradire le aspettative altrui, dando per scontata ogni attenzione, anche in assenza di nostre chiare necessarie manifestazioni in tal senso. Evitare quella condizione di pigrizia mentale che nella routine quotidiana rende scarna ogni affettuosità facendoci cadere nel medesimo sbaglio di chi oggi ci ignora.

A volte però un amore lo si può perdere per colpa del tempo che ci cambia ed allora si può verificare il caso che una delle due persone della coppia non sappia più convivere con il partner, così cade il sentimento e l’interesse. el3qz0ca1ygbj5cax1cumocaiugz42caz3ch6pcarg29nqcarilhw8ca5wpg21ca7cnmp4caw0lo9rcabfim08cazjt92bcajawrq2cammj46zca365e3kcaa3rl0pcaerbfbicaek6vlxcaoee8mzAltre volte, invece, si perde l’amore perchè questo ci è sottratto da un’altra persona, allora il dolore è così intenso come era profondo e vero il sentimento che purtroppo non ci appartiene più. Quì si rischia di perdere l’autostima per quanto ci si interroga sul perchè dell’accaduto, allora si cambia dentro ed il carattere si inaridisce e si può perdere la capacità di amare ancora con intensità.

Nella vita, però, si può essere vittime di paure inutili e troppo intense, che possono minare la sicurezza dei comportamenti al punto tale da perdersi in presunte e sciocche inadeguadezze tanto da risultare invisibili, mentre nel contempo il nostro animo si augura della sempre costante attenzione della persona a cui ci sentiamo legati.

Nella vita voler bene è importante e dà vitalità, ma bisogna essere sempre in grado di comprendere l’altra persona e di riuscire a generare momenti di reciproca soddisfazione, di sintonia e di non sentirsi mai asfissiati, scontenti o ingabbiati perchè in amore l’accordo ed il completamento che si raggiunge fà sentire liberi delle scelte fatte.

 


Fondi Pensione – Documento sulla Covip.

novembre 28, 2008

trappUna “ rete protettiva “ per il risparmio previdenziale.

La crisi e la forte turbolenza dei mercati finanziari stanno

generando forti preoccupazioni fra i lavoratori sul proprio

risparmio previdenziale.

COVIP, l’organo di sorveglianza e di tutela dei Fondi

Pensione, sta monitorando costantemente la gestione e gli

andamenti dei Fondi. ( * )

I Fondi Pensione Negoziali e, fra questi, quelli “ preesistenti”

nel settore bancario e assicurativo, pure risentendo della

crisi globale, stanno complessivamente dimostrando di

costituire la più efficace tutela del risparmio previdenziale

delle lavoratrici e dei lavoratori.

Gli Organi dei singoli Fondi Pensione stanno, a loro volta,

effettuando approfonditi monitoraggi ed analisi sugli

investimenti delle risorse, informandone i lavoratori

aderenti.

La valutazione sui rendimenti dei Fondi Pensione non può

che tenere presente il tipo di investimento proprio degli

stessi, che è di natura previdenziale.

E’ opportuno, pertanto, che la valutazione non si limiti al

2008.

Il risparmio previdenziale è di per sè basato su un

investimento dall’orizzonte temporale medio lungo.

L’ arco temporale di valutazione deve necessariamente

essere più ampio rispetto al semplice investimento

finanziario e speculativo.

Non va sottovalutato, proprio a garanzia dei lavoratori

aderenti e del loro risparmio previdenziale, che i Fondi

Pensione ( e relativi Organi e Organismi ) sono sottoposti ad

un rigoroso sistema di regole, limiti e controlli oltre che al

costante monitoraggio da parte di COVIP.

Anche nell’attuale situazione di grave crisi e di pesante

turbolenza dei mercati, questa rete di protezione –

unitamente all’adeguata diversificazione degli investimenti,

alla prudenza nella costruzione dei comparti – consente ai

Fondi Pensione Negoziali di limitare gli impatti negativi della

crisi sulle risorse conferite in gestione.

Non è poi da trascurare che aderire ad un Fondo Pensione

Negoziale, oltre a garantire una gestione attenta alla

sicurezza e ai risultati dell’investimento, dà diritto a fruire di

vantaggi concretamente misurabili, come quelli derivanti dal

più favorevole trattamento fiscale e dall’opportunità di fruire

del contributo addizionale del datore di lavoro.

I Fondi Pensione Negoziali, inoltre, se comparati agli altri

strumenti di risparmio presenti sul mercato e ad altre forme

di risparmio previdenziale, quali Fondi aperti e Pip,

garantiscono costi sicuramente più contenuti e vantaggiosi.

Ciò può incidere positivamente sulla misura del montante

finale e della rendita/trattamento cui il lavoratore accede al

momento del pensionamento.

Peraltro, proprio in considerazione delle conseguenze della

crisi, COVIP ha avanzato al Governo la proposta di istituire

un meccanismo di garanzia destinato a salvaguardare la

posizione accumulata, con riferimento alla porzione di quote

riferite al TFR, di coloro che escono dal sistema, o che già ne

siano usciti, successivamente al 31 agosto 2008.

Le Organizzazioni sindacali – la cui funzione è ovviamente

diversa e distinta da quella degli Amministratori dei Fondi

Pensione – sono parimenti consapevoli della estrema

delicatezza delle conseguenze della crisi sul risparmio

previdenziale dei lavoratori e dell’esigenza di garantire

tutele e informazioni adeguate.

( * ) COVIP ha rilevato che sono i Pip (piani individuali pensionistici) le forme

previdenziali più penalizzate dalla crisi dei mercati: mediamente hanno perso

da inizio 2008 il 21,4%, con punte del 31% per le linee azionarie, cui

aderisce circa un quarto di coloro che hanno preferito i Pip rispetto ai Fondi

Pensione.

I Fondi Pensione Aperti registrano un rendimento medio del 12,6% (con

punte del -23,6% per gli azionari),.

I Fondi di categoria ( fondi pensione negoziali, preesistenti ) hanno limitato il

ribasso al 6,7%.

Il mese di ottobre, il più nero finora, ha inciso con un meno 2% sui Fondi

Pensione negoziali.

Il dato potrebbe rivelarsi meno pesante di quanto oggi appaia.

Covip infatti evidenzia che solo il 10% del patrimonio dei fondi pensione

(circa 20 miliardi di euro in tutto) fa riferimento a linee azionarie, il 40% è in

linee bilanciate mentre la metà circa è investito in linee obbligazionarie o

garantite.

Nei comparti con profili di investimento particolarmente prudenziali, i

risultati parziali al 31/10/2008, in aggregato, sono di segno positivo.

C’è da sperare che i vari Fondi Pensione mantengano i residui patrimoni immobiliari – commerciali ed abitativi -, quali unica forma di investimento che garantisce  il mantenimento e la crescita nel tempo, secondo la dinamica economica, delle somme  versate dai soci per costituire la nota previdenza integrativa. Inoltre gli affitti incassati dalle locazioni vanno a formare il tasso di rendita certa di questi investimenti, contro la nota incertezza delle rendite prodotte da elementi finanziari (titoli-fondi di investimento etc.).

Altra positiva considerazione di valore sociale  è l’offerta di abitazioni in affitto, che può modificare un mercato abitativo solo privato privo di ogni significativa concorrenza sia nel numero delle offerte e sia negli importi offerti ad una sempre maggiore richiesta da parte di giovani cittadini.     

 


Risvolti della Globalizzazione e Scenari di Cambiamento.

novembre 26, 2008

88p8mncah2a78hcai563f1cazw9qe2ca5e3fg0caw57wvzcaicc32acaih6dlccaleg07wca8eejf7cajks9iacaqdk972ca94g9d2ca6yrleicae1wv43cawnj7zmca3w7q33caicwclvcaktsu71 

L’attuale tipo di globalizzazione prodotta dall’odierno capitalismo senza regole ha prodotto i suoi danni e questi sono seri e di una tale gravità da compromettere l’economia reale in tutto il mondo. La globalizzazione forse è una tendenza irreversibile della nostra vita commerciale e finanziaria, l’unico suo limite è rappresentato dal tipo di capitalismo che si è voluto imporre alla politica economica di molti paesi. Un capitalismo senza regole ed incontrollato, che tende ad annullare tutto il progetto già condiviso e la tendenza social-democratico degli imprenditori intelligenti e delle masse di lavoratori di ogni livello. Incoraggiare l’espansione mondiale di un mercato giustamente regolato è utile e vantaggioso per tutti, ma altra cosa è inneggiare ad un mercato estremamente libero privo di ogni regola e limite, che espone chiunque ad enormi rischi sociali ed al fallimeto di ogni progetto positivo di sviluppo dell’economia reale. Essere contrari a questa forma negativa di capitalismo, non significa essere anti globalizzazione e tantomeno di appartenetenere ad una ispirazione politica antagonista.

Molti nel descrivere pregi e difetti della globalizzazione, né hanno magnificato gli effetti di accellerazione dello sviluppo delle economie dei paesi del terzo mondo, in una sorta di riequilibrio produttivo fra paesi forti e paesi deboli. Ove si guardasse all’africa dovremo invece riflettere sul fatto che la crisi ha impoverito quelle economie e scatenato in larga parte del continente nero la classica via d’uscita alle crisi economiche: la ripresa della guerra. Ed anche il tema della democrazia, che tanto occupa il nostro attuale Governo, nel magnificare il G8 rispetto al G20, risulta in occidente impoverito e semplificato per tenere il passo alla velocità della globalizzazione, senza che contemporaneamente si segnali un innalzamento dei diritti negli altri paesi della Terra.

Non esiste, quindi, né in economia né in democrazia un sistema di vasi comunicanti.

E’ opportuno prima di avventurarsi sul terreno delle soluzioni soffermarsi con maggiore attenzione sulle cause: l’abolizione clintoniana del Glass Steagall Act, (da Lavoce-info -Alberto Franco Pozzolo: “Il Glass-Steagall Act proibiva alle banche commerciali, o a società da esse controllate, di sottoscrivere, detenere, vendere o comprare titoli emessi da imprese private. Questa rigida separazione venne decisa dopo che un comitato d’inchiesta (noto come Pecora Committee), promosso dal Senato americano in seguito ai numerosi fallimenti conseguenza della crisi del ’29, verificò che alcune banche avevano collocato presso i propri clienti titoli emessi da imprese loro affidate, e che queste avevano successivamente utilizzato i fondi così raccolti per rimborsare i prestiti precedentemente concessi dalla banca. In sostanza, le banche avrebbero trasformato potenziali sofferenze in emissioni collocate presso i propri clienti”), che prevedeva la distinzione fra banca commerciale e di investimento ha mostrato come alcuni aspetti della crisi del 1929 non fatichino a ripresentarsi rapidamente. Tale norma, in tempi diversi, è stata ripresa in numerosi paesi, fra cui l’Italia, senza controlli efficaci sulle sofisticazioni finanziarie.

Vi è evidentemente un nuovo problema di regolazione dei mercati e dei controllori.

Non possono peraltro essere dimenticati i risvolti sociali ed ancor più culturali della crisi: la crescita dell’ineguaglianza sociale ed il contestuale aumento dell’autoritarismo imprenditoriale hanno ridisegnato le caratteristiche dell’individuo formando, come sostiene Riccardo Bellofiore dell’Università di Bergamo, la triade del consumatore terrorizzato, del consumatore indebitato e del lavoratore traumatizzato.

E’ ormai chiaro che, se gravi sono gli effetti della crisi finanziaria su famiglie ed imprese, essi appaiono insostenibilmente leggeri in paragone alla durezza della recessione prossima, che toccherà senza delicatezza occupazione, salario, qualità e prospettive di vita.

Se nel quadro della globalizzazione v’è il dubbio, che risposte di natura continentale siano sufficienti, sicuramente non incidono quelle del singolo paese. In questo senso il contesto europeo diventa la conditio minima per una strutturale revisione del modello di sviluppo e della divisione del lavoro ad essa connessa.

Occorre in un quadro di lungo periodo ragionare di una prospettiva continentale in cui si riallochino le produzioni e le specializzazioni nel contesto più razionale, efficiente e solidale, che sia dato pianificare, con paesi che, nelle rispettive diversità, concordino senza furbizie le relative politiche economiche, fiscali e sociali.

Mobilità sostenibile, autonomia energetica, accorciamento delle catene produttive e delle filiere distributive, innovazioni tecnologiche di processi, possono essere i nuovi drivers di uno sviluppo produttivo.

Come nel nostro Paese, anche in Europa e nel mondo, il problema è la ripresa dell’economia reale, fondata su modelli di sviluppo e di consumo e su una diversa distribuzione della ricchezza.

Quì è forse il caso di ricordare che Barack Obama intende fare dell’ambiente il principale driver della ripresa economica e morale americana, mentre l’Italia si fa portatrice della richiesta di sospendere gli impegni climatici assunti dall’Europa per salvaguardare il proprio tessuto industriale, nel quale l’occupazione si riduce dello 0,8% mentre aumentano sensibilmente fatturato, valore aggiunto ed ore lavorate per dipendente. Forse solo un’azione coordinata e coesa dei governi a livello mondiale, come sostiene il presidente del FMI Strauss Kahn, di rilancio contestuale della liquidità attraverso sgravi fiscali alle famiglie e forzature programmate dei patti di stabilità potrebbe sul terreno monetario invertire il cammino progressivo della crisi ed avviare una possibilità di sviluppo.

Auguriamoci che i provvedimenti che via via prenderà il nostro Governo, in una azione concertativa con la minoranza parlamentare e con tutte le parti sociali, siano qualitativamente e quantitativamente sufficienti per affiancare famiglie, lavoratori, lavoratrici ed imprese al superamento progressivo delle difficoltà che l’attuale crisi mondiale ha procurato e, purtroppo, causerà ancora. Speriamo che in questo difficile momento prevalga il buon senso e la responsabilità di tutti per dedicarsi in un’attività unitaria e solidale per uscire da questo attuale difficile contesto.

 

 

Né si può scrivere che la crisi sia finita o che si intravedono i confini: dai subprime alle carte di credito, dalle variazioni inconsulte dei prezzi delle materie prime ai derivati di incerta composizione; si è ormai passati dalle bolle finanziarie alle conseguenze sull’economia reale, con la recessione in tutti i principali paesi industrializzati del mondo e segnali incipienti di deflazione (riduzione dei prezzi delle materie prime causata dall’assenza o dalla scarsa richiesta, diminuzione dei consumi), che possono anticipare una depressione di carattere mondiale.    096wc8ca6nxdwxcacfi39fca65286tcaggmcwgcazwjm72cajq93wrcakzsh57ca6qdroucako8vljcai8zc50ca2w8884caioz63ccax78xpbcaf0ggumcaso5ht4caqbpfpzcadnz007caix97gk

La mancanza di fiducia, che permea il ciclo finanziario rende scarsa e cara la liquidità ed alimenta il credit crunch (stretta creditizia). La crisi finanziaria scatena la crisi economica e di essa si autoalimenta in una spirale senza fine.

La manovra monetaria dei governi è quasi al massimo sforzo senza visibili soluzioni, toppe finanziarie che tardivamente applicate non investono i caratteri strutturali della crisi e del funzionamento dei mercati.

Un giornalista economico americano, Martin Wolf, su Financial Times, suggerisce la necessità, in un processo di lungo periodo, di espandere la domanda interna dei paesi finanziariamente più solidi. La domanda che sorge è verso quale modello di consumi?

Quello attuale ci riporterebbe rapidamente alla situazione odierna, dove la coincidenza registrata nel recente passato fra abbondante liquidità a basso costo lavorata con tecnologie informatiche ed innovazioni finanziarie innovative, ha provocato in operatori finanziari e banchieri sconsiderati una spensierata indifferenza al rischio.

Una constatazione simile a quella teorizzata da Hyman Minsky sulla cartolarizzazione in titoli dei mutui ipotecari (da Wikipedia: “Minsky ha proposto alcune teorie che mettono in relazione la fragilità  dei

mercati finanziari  e le bolle speculative       sq9xdjca7lzzmlcajerhijcablop1scasweswrcam2h090car5o3z3cah6hp45caemeea9cai46aiuca8iwctmcab3byiyca7hvjfocarm52npcaburbwacavwz7ovca8gy38hcabqoljacad5i1t5

endogene ai mercati.

Fondamentalmente, Minsky sostiene che in periodi di espansione, quando il flusso di cassa

delle imprese supera la quota necessaria per pagare i debiti, si sviluppa un’euforia speculativa. All’origine delle crisi vi è un displacement, cioè uno “spostamento”, che altro non sarebbe che un evento esterno rispetto al sistema macroeconomico, che spinge i soggetti a credere che vi saranno forti rialzi nel valore delle attività – siano queste reali o finanziarie-. Ne consegue un’espansione creditizia, che alimenta ulteriormente l’euforia. Nel momento in cui ci si rende conto che l’espansione dei prezzi è terminata, inizia la corsa alla vendita, che può portare al panico sui mercati, e ad effetti negativi anche sull’economia reale

 


Numeri. . .(by Trilussa)

novembre 20, 2008
– Conterò poco, è vero:                                      5vwlarca299ww6ca0y7yckca933at8cai885jgcavi6598caqratkncaz4zc0ocak2cftncab14kmzcad858zfcav4jpzzcafbi38ecala4ph5cazgbwipcaizmd4rcabo592hcara48ezcan77z3g1
– diceva l’Uno ar Zero –
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
Sia ne l’azzione come ner pensiero
rimani un coso voto e inconcrudente.
lo, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
E’ questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore               9oaui3cayac5hqcalceet5ca0u2p8ocai3c3pgca8s3t1dcaiqjgu4caj1jbk2caxg1em3ca8ncjk9cadyv40icadc02olcagiku3ccaefal1mca43554ncahlgp2ccavhubngcasrwx7gcavp8wp11
più so’ li zeri che je vanno appresso

 


Comunità mancante. . . il problema attuale: l’egoismo.

novembre 19, 2008
mogano91-1doppioLa giornata non era iniziata bene, avevo discusso al telefono con una persona, così ho preso la via della pineta, verso la parte più fitta dove speravo di incontrare qualche cerbiatto nella folta vegetazione. Avevo bisogno di fare una bella passeggiata, lontano dal traffico delle macchine e questo parco è il luogo adatto, si incontrano pochissime persone, fra turisti e guardie parco, e non tutti conoscono i sentieri che portano ad antichi reperti e fontane dove è possibile fermarsi per sedersi su qualche basso manuefatto.
 

 

Sarà trascorsa una mezz’oretta, quando improvvisamente la quiete fu rotta dal rumore dei passi di qualcuno che si stava lentamente avvicinando. Nel suo lento incedere, il personaggio, ancora nascosto dalle fitte piante, stava chiaramente parlando, ma le parole non arrivavano chiare, ma risultava chiaro il tono di una persona arrabbiata, contrariata. Così ripresi a rigirarmi fra le dita una foglia raccolta in terra e nel contempo gurdavo nella direzione dal quale arrivavano i rumori, sin quando la figura del rumoroso viandante si scoprì dopo aver superato un fitto alto cespuglio. Lo riconobbi, era un anziano signore con il quale avevo avuto occasione di parlare durante lo svolgimento di uno o due consigli comunali. Lo salutai, quasi trasalì, anche lui non s’era accorto della mia presenza, quindi insieme ci siamo avviati verso l’uscita per andarci a prendere un caffè e per poi fumarci una sigaretta in santa pace.

Il nostro mondo è ormai saturo, iniziò, ormai siamo circondati da una geografia umana, la cui maggioranza è incapace di comprendere e sostenere tutte quelle poche cose che sono rimaste importanti. Abbiamo quasi sempre avuto dei governi incapaci di sostenere la nostra vita e non ha mai saputo usare ilrpgresso come occasione nuova per migliorare la vita di noi cittadini, di tutte quelle persone che vivono e lavorano per sostenersi e per permettersi di sopravvivere negli affetti, nella dignità e nella sicurezza. Ma questo sistema di moderna sregolata globalizzazione ha solo creato compulsività della ricchezza senza mai tenere conto delle condizioni di quel sempre crescente numero di persone, che sono continuamente privati dei loro mezzi di sopravvivenza. Di fatto non esiste più il rispetto dell’umanità, siamo un pò tutti considerati clienti di quella bottega politica che è solo frequentata da avidi individui, che vivono la loro vita in continue strategie per prevalere nella logica delle lotte del potere, solo fine a sé stesso. Siamo tartassati con continui rastrellamenti di denaro ed in questa esasperata attività non viene nemmeno risparmiato il culto ed il rispetto per i morti, nel senso che oggi è diventato un lusso provvedere alla sepoltura di un caro estinto. Le tariffe per le concessioni cimiteriali sono così esose da costringere molte persone a dover scegliere aree di sepoltura comune. Pensa, continuava il mio compagno di passeggiata, oggi, questa mattina, sono stato chimato dal servizio funebre del comune per avvisarmi di anticipare l’estumulazione e la raccolta delle spoglie di mia moglie per non incorrere nelle nuove tariffe, che andranno in vigore dal primo gennaio del prossimo anno con un aumento previsto di almeno del quattro/cinque per cento. Non puoi immaginare quale stato d’animo è seguito a questa telefonata, sono stato invaso da una rabbia così intensa che, se non controllata, mi avrebbe spinto in quegli uffici comunali per mettere tutto sotto sopra per ribellarmi a quell’ennesima ingiustizia. . . . . .si quella situazione l’ho presa come ingiustizia, come imposta difficoltà ad ottemperare al desiderio di procurare una giusta nuova sepoltura a quanto rimane della mia povera moglie. . . . . . non è giusto che solo le persone ricche e riparate da mille privilegi possano provvedere ai propri estinti senza alcuna preoccupazione finanziaria soddisfacendo i loro desideri e senza alcun timore di incorrere in rimorsi di coscienza per non aver avuto la possibilità di sistemare il proprio congiunto in armonia con i propri desideri nel   rispetto del forte legame sentimentale.

Ormai il business, la speculazione, la necessità di esigere sempre più soldi alla popolazione per compensare sprechi ed altro ha reso moribondi ogni sentimento di umana solidarietà e considerazione, anche oltre la soglia della vita non siamo tutti uguali. Già abbiamo praticamente distrutto la famiglia, abbiamo reso precario il mondo del lavoro ed abbiamo maciullato ogni sentimento di far fronte comune per risolvere ogni pur piccola dificoltà. Nella nostra attualità, impostaci, il senso della comunità si realizza con la televisione e con i telefonini, ormai è svanità quella intimità, quei sentimenti e quella considerazione, che rendevano veri e palpabili ogni relazione umana, sia questa familiare o di semplice amicizia. Viviamo tutti difficoltà di relazione, di fiducia, embè il senso della comunità è ormai inesistente, oggi si corre solo per i soldi, per l’euro, per i dollari e niente più. . . . . il caro vita ed il senso degli affari fà posporre anche il culto materiale per gli estinti, è rimasto almeno il culto sentimentale per queste sfortunate persone. . . . almeno per questo non ci viene chiesto il conto.     foto

Dopo il caffè e la sigaretta, il mio amico si calmò, così ci salutammo, ma questo episodio mi ha fatto riflettere sulla condizione di questo obbligato avamposto umano, dove siamo stati portati a vivere.


Al fine di meglio comprendere quali sono le poste in gioco nella situazione generale che stiamo vivendo.

novembre 19, 2008
Desidero proporre un’analisi del giornalista-scrittore Eugenio Scalfari già pubblicata dal quotidiano Repubblica. Una riflessione politica-economica, con la quale riesce a sincronizzare etica-politica-economia e società secondo il suo noto punto di vista liberale-sociale, dal quale si evidenzia equilibrio fra ideologia, cultura sociale e politica.

 

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L’assalto al futuro della

nuova generazione

di Eugenio Scalfari (la Repubblica, 16 novembre 2008)

Epifani ha deciso di isolarsi. È un massimalista. Si aggrappa al sindacalese del secolo scorso e non

capisce che siamo in un’economia globalizzata. Ha scelto il movimentismo abbandonando il

riformismo. Insegue la Fiom. Si crede il centro del mondo. È uscito di testa ma speriamo che si

ravveda. (Quest’ultimo giudizio è di Bonanni, l’uomo forte della Cisl). La sua politica favorisce

Berlusconi. La Cgil non conta più niente. Il Pd prenderà le distanze. Lama si rivolterebbe nella

tomba. Perfino Di Vittorio…

Venerdì sera l’ho chiamato al telefono, tanta unanimità contro di lui mi aveva incuriosito, del resto

non è la prima volta per lui e non è la prima volta per chi guida il maggior sindacato italiano. Vi

ricorderete Cofferati: per due anni fu la bestia nera dell’Italia benpensante. Anche lui si era isolato

perché Cisl e Uil avevano firmato con Berlusconi il “patto Italia” che tuttavia restò lettera morta.

Vi ricorderete Bruno Trentin, del quale tutti riconoscevano l’onestà intellettuale e tutti biasimavano

la politica sindacale. E vi ricorderete Lama.

Luciano Lama è stato ricoperto di elogi (dall’Italia benpensante) quando lasciò la carica di

segretario della Cgil e soprattutto quando morì. E non parliamo di Di Vittorio. “Post mortem” un

generale rimpianto; da vivo invece l’avrebbero volentieri messo in galera per continua violazione

dei diritti di proprietà, interruzione di pubblici servizi, resistenza alla forza pubblica.

Diffido molto della cosiddetta “Italia benpensante”. Spesso pensa male, il più delle volte non pensa

affatto, ripete gli “spot” dai quali viene ogni giorno bombardata e imbottita. Scopre le persone di

qualità quando sono morte. Così fu per Ezio Vanoni, per Ugo La Malfa, per Aldo Moro e per

Enrico Berlinguer. Da vivi preferisce i truffaldini che promettono miracoli e felicità.

Dunque Epifani. Lui non vuole isolarsi da nessuno e comunque non si sente affatto isolato. L’altro

giorno fiancheggiava la manifestazione studentesca nelle strade di Roma, centomila ragazzi che

chiedono una riforma vera e seria della scuola e dell’università e non i pannicelli caldi del

grembiulino, del maestro unico e dei tagli.

Lo stesso giorno la Cgil insieme agli altri sindacati confederali, ha dato il disco verde alle

assunzioni individuali che la Cai di Colaninno comincerà domani. Nei prossimi giorni chiederà al

governo di convocare le parti sociali a Palazzo Chigi per discutere della recessione e delle urgenti

misure che essa richiede. Poi bisognerà proseguire la discussione con la Confindustria sui contratti

di lavoro e sulla loro eventuale riforma.

«Sembro uno che si vuole isolare? Quando il capo di un sindacato va a cena nell’abitazione privata

del capo del governo è lui a rompere l’unità ed è lui che si isola».

Quella cena a Palazzo Grazioli l’ha fatto molto arrabbiare. «Non è la prima volta, ormai ci ho fatto

l’abitudine, ma il fatto nuovo è stato la presenza di Emma Marcegaglia. Cisl, Uil e Confindustria a

cena da Berlusconi per parlare di contratti con la voluta assenza della maggiore organizzazione

sindacale. Qual è il senso? Che cosa significa?».

E quindi sciopero generale da soli il 12 dicembre. «No, quello era già previsto. Non sono così

imbecille da indire lo sciopero generale per un mancato invito a cena. La motivazione è molto più

seria, i lavoratori lo sanno e la loro adesione lo dimostrerà».  futuro1

* * *

Uno sciopero generale è sempre politico per definizione. Se ci fosse un obiettivo specifico che

interessa una specifica categoria professionale non si farebbe appello alla totalità dei lavoratori.

Quando si proclama lo sciopero generale vuol dire che si vogliono affermare e conquistare diritti

che riguardano tutti i lavoratori e addirittura tutti i cittadini. Riguardano l’interesse generale del

paese, naturalmente visto dall’angolazione dei lavoratori. Per questo dico che si tratta d’uno

sciopero politico per definizione.

Bisogna dunque capire quali sono i diritti da affermare e conquistare in questa fase dello scontro

sociale che pure richiederebbe la collaborazione di tutte le forze per far fronte ad una tempesta

economica che ha rari precedenti nella storia degli ultimi cent’anni.

Il diritto è quello che si legge nell’articolo uno della Costituzione: «La Repubblica italiana è fondata

sul lavoro».

Sembrerà una frase rituale, mille volte invocata e mille volte elusa, che rappresenta tuttavia

l’elemento portante della nostra architettura costituzionale. Tutti quelli che seguono sono diritti ai

quali la Costituzione conferisce dignità e tutela giuridica, ma nessuno dei quali è definito come

fondamento del patto nazionale. Il lavoro non è soltanto un diritto ma è anzitutto un valore. Così

l’hanno voluto i nostri “padri costituenti”: il lavoro degli operai e quello dei contadini, dei

professionisti e degli imprenditori, dei docenti e dei discenti.

Ma perché proprio oggi uno sciopero per lavoro? È vero, la disoccupazione sta aumentando, la

recessione distrugge ogni giorno posti di lavoro, le imprese riducono il personale dipendente, molte

chiudono, anche il lavoro autonomo è in crisi. Ma non sarà certo uno sciopero a far invertire la

tendenza. Allora perché lo sciopero generale? Bisogna esaminare con molta attenzione questa

questione per capire ciò che sta accadendo.

I redditi reali dei lavoratori negli ultimi due anni e in particolare negli ultimi sei mesi sono

aumentati meno dell’inflazione ufficiale e molto meno dell’inflazione reale. Ciò significa che il

potere d’acquisto dei redditi inferiori ai trentamila euro annui è fortemente diminuito.

Poiché i redditi nominali sono tuttavia aumentati, di altrettanto è aumentato il prelievo fiscale. Il

lavoro dipendente non può evadere e i pensionati neppure, per conseguenza il potere d’acquisto è

ulteriormente diminuito.

Il lavoro precario, che negli anni scorsi è stato incoraggiato in molti modi e presentato come lo

sbocco più idoneo per fronteggiare i fenomeni dell’economia globale, sarà il primo ad esser colpito

sia nelle aziende private che nelle amministrazioni pubbliche. Nei prossimi mesi, ma già fin d’ora,

decine di migliaia di lavoratori precari saranno licenziati senza disporre di alcuna tutela sociale.

L’intera gamma degli ammortizzatori sociali è inconsistente. La cassa integrazione non è estesa a

tutti, non esiste un salario sociale minimo, il sussidio di disoccupazione è insufficiente e di breve

durata, i corsi di formazione sono tuttora nella fase preliminare, privi di sostegno finanziario

adeguato.

Nel frattempo la trattativa sul nuovo schema di contratto del lavoro è stata scavalcata dalla crisi

recessiva in corso. Quando il negoziato tra le parti sociali ebbe inizio la crisi non era ancora

scoppiata e tutti credevano di vivere nel migliore dei mondi possibili. Di qui la lunga discussione tra

le parti sociali sui contratti di primo e secondo livello, quello nazionale e quelli aziendali agganciati

alla produttività.

La Cgil, tra i tre sindacati confederali, era la meno entusiasta dell’idea di spostare l’asse contrattuale

dalla sede nazionale a quella locale; tuttavia accettò l’aggancio alla produttività di settore e di

azienda che avrebbe dato maggiore flessibilità al mercato del lavoro.

Nelle condizioni in cui ora ci troviamo, tuttavia, questa discussione è completamente fuori dalla

realtà. Con la caduta della domanda e degli investimenti, con la restrizione del credito che sta

soffocando il sistema delle imprese e in particolare delle più piccole, con l’aumento della

disoccupazione, gli incrementi di produttività sono una giaculatoria puramente verbale, un’icona

culturalmente valida ma concretamente inesistente.

Le cose reali, le rivendicazioni da mettere in campo, riguardano il sostegno e i redditi, l’espansione

del credito, un sistema di ammortizzatori sociali efficace. In sostanza il rilancio della domanda, dei

consumi e della produzione.

Tremonti sa benissimo che di questo si tratta ma ancora ieri ha ribadito che questa politica non si

può fare aumentando il deficit e il debito. Ha perfettamente ragione. Si fa infatti riprendendo

vigorosamente la lotta all’evasione che è stata di fatto abbandonata, tassando le rendite e i redditi

più elevati.

Questa è la ricetta che Barack Obama si appresta a mettere in pratica non appena sarà insediato alla

Casa Bianca. Del resto non c’è altra via: coi tempi che corrono la redistribuzione fiscale è lo

strumento principale per rilanciare la crescita senza aumentare un debito già enorme.

I miliardi della Cassa depositi e prestiti sui quali il ministro dell’Economia fa tanto affidamento

possono essere utilizzati per finanziare le infrastrutture (promesse nel 2001 con il famoso “contratto

con gli italiani” stipulato in televisione da Berlusconi e completamente inevaso per tutta la

legislatura) ma non possono certo essere usati per sostenere il reddito.

* * *

Una politica così configurata, che è la sola possibile per uscire dalla tempesta della crisi, dovrebbe

vedere unite tutte le organizzazioni sindacali e tutti i lavoratori. Accade viceversa che proprio in

questo delicatissimo momento di svolta esse si dividano e la loro unità d’azione si spacchi

clamorosamente. Questi fatti, oltreché incomprensibili, rendono assai difficile l’adozione della sola

politica economica di crescita disponibile per un paese con un debito schiacciante.

L’opposizione reclama da tempo questa politica ma i rapporti di forza parlamentari sono quelli che

sono. Diverso è il peso delle organizzazioni sindacali anche se non ha più la forza di un tempo. Il

momento di gettarlo sul piatto della bilancia è questo. Il tentativo di convincere Berlusconi,

Tremonti, Marcegaglia a tassare i ricchissimi patrimoni e le rendite per rilanciare il motore della

crescita è pura illusione. Non è quella la loro strategia e non è quella l’alleanza sociale che li

sostiene. Siamo dunque arrivati, dopo sei mesi di legislatura, al punto della svolta.

* * *

Gran parte degli osservatori, in Europa come in America, sostengono che il vento della crisi

mondiale ha rimesso in sella il potere politico rispetto al mercato, i governi rispetto al “business”,

l’interventismo pubblico rispetto al liberismo.

C’è una buona parte di verità in questa diagnosi, ma non tutta la verità. Certamente il liberismo e il

pensiero unico che ad esso si ispira sono in netta ritirata.

Tuttavia è un fatto che per uscire dalla tempesta serve soprattutto un atto di fiducia. Senza un

ritorno della fiducia l’economia mondiale precipiterà da una recessione temporanea in una lunga e

devastante depressione.

Chi sono i destinatari della fiducia? I governi e le istituzioni nazionali e internazionali. E la fiducia

da dove viene? Dalla società. Dagli individui, dalle famiglie, dai ceti, dai lavoratori-consumatoricontribuenti-

risparmiatori che la compongono.

Queste enormi masse di persone sono prevalentemente animate da preoccupazioni economiche,

però non soltanto da esse. Su un fondale di bisogni inappagati e di paure del futuro non dissipate si

stagliano anche convinzioni profonde di carattere morale, di giustizia, di riconoscimento.

La politica è tornata in sella là dove la società si riconosce in essa. Bush era un’anatra zoppa già

molto prima della campagna elettorale di Obama. Del resto Obama è sceso in guerra contro

l’establishment del suo partito e McCain ha fatto altrettanto. Dopo le elezioni del 4 novembre la

società americana ha determinato una nuova politica e nuove rappresentanze. La società ha

espugnato il castello politico e vi ha issato una nuova bandiera.

In Italia il castello della politica berlusconiana era fino a un mese fa fortissimo. Ora è meno forte

perché una parte della società si sente disconosciuta e ferita. Non più rappresentata. Questo è il fatto

nuovo: una parte crescente della società è ferita per mancanza di futuro. I giovani studenti, i giovani

precari, le donne, i lavoratori dipendenti, le imprese del Nordest, il Mezzogiorno non mafioso, le

imprese schiacciate dal racket, i moderati che sognano il buon governo, i cattolici cristiani che non

si riconoscono nella gerarchia papalina: queste minoranze si stanno cercando tra loro nel momento

stesso in cui si distaccano dal castello politico berlusconiano.

Siamo appena ai primi segnali, ma sotto la spinta della crisi i mutamenti e gli smottamenti possono

procedere con estrema rapidità. In una direzione o nell’altra. Ricementando il castello politico o

smantellandolo.

Siamo ad una svolta di alto rischio dove la partita richiede lucidità e coraggio. Soprattutto coraggio.

Bisogna dimenticare le proprie botteghe se si vuole l’assalto al futuro impedendo che ci venga

confiscato.

 


Ci sarà un motivo se qualcuno vuole dividere i Sindacati. . . .ragioniamo sui prossimi rinnovi contrattuali.

novembre 19, 2008

freccia 

MENO SOLDI IN BUSTA PAGA

SE CISL E UIL FIRMANO LA PROPOSTA DI CONFINDUSTRIA

 

Per la CGIL la trattativa con Confindustria è esaurita. La CGIL rivendica un tavolo negoziale con tutti i soggetti imprenditoriali Privati e Pubblici e con il Governo, per ridefinire un modello contrattuale universale e condiviso.

La CGIL ha giudicato il documento di Confindustria incompatibile con la piattaforma unitaria presentata da CGIL CISL e UIL; di seguito, a titolo esemplificativo, indichiamo alcuni punti della nostra posizione:

  • L’impianto proposto da Confindustria e le iniziative del Governo esprimono chiaramente la volontà di sganciare l’evoluzione dei salari dal potere d’acquisto, mirando a subordinare la dinamica salariale esclusivamente alla produttività dell’azienda.

 

  • La base di calcolo proposta da Confindustria per definire gli aumenti contrattuali nazionali comporterebbe, nelle singole categorie, riduzioni che varierebbero dal 12 al 30 %, rispetto al sistema attualmente in vigore.

 

  • L’indicatore che Confindustria vorrebbe utilizzare, non risponde all’inflazione realisticamente prevedibile e non è accompagnato da verifica e recupero dell’eventuale scostamento tra quella reale (3,9%) e quella programmata (1,7%) determinando cosi la riduzione programmata dei salari contrattuali.

 

  • Sono inaccettabili le procedure che limitano l’autonomia contrattuale delle categorie e mettono in discussione il potere contrattuale delle RSA nei luoghi di lavoro (le piattaforme per il rinnovo dei CCNL sarebbero sottoposte alla valutazione di un Comitato Paritetico che potrebbe inoltre dichiarare inefficaci e non applicabili le intese aziendali in contrasto con il modello proposto da Confindustria)

 

  • Non c’è recupero della produttività a livello di settore (con quell’accordo non si sarebbero potuti realizzare i riultati ottenuti con l’ultimo contratto)

                                                                                         nazionali

  • Non c’è allargamento della contrattazione di II° livello.

I salari sarebbero sempre più determinati a livello individuale e legati a sistemi incentivanti, obiettivi di risultato, ecc., e poiché i contratti integrativi aziendali potrebbero contrattare solo salario variabile non determinabile a priori, si produrrebbe nei fatti una riduzione della contrattazione.

 

Questa è una  delle ragioni che hanno portato la

CGIL a dire che la trattativa con Confindustria è

esaurita ed a proclamare

lo sciopero generale del 12 dicembre

contro le politiche del Governo.

 

Insomma chi lavora dalla mattina alla sera per mantenere la propria famiglia e sé stessi, rischiano di subire un abbassamento del loro reddito, quando già hanno difficoltà economiche per arrivare a fine mese. Di contro vi sono dei signori che si auto determinano i propri redditi, sempre in maggiore misura, così già elevati da riparali da ogni recessione o da ogni altra improvvisa difficoltà. Alla faccia della coerenza e della giustizia sociale.